Sconvolgente e triste, queste sono gli stati d’animo che assalgono il lettore.
Il libro è ben strutturato, scorrevole nella lettura ed è stato scritto da Tyler Hamilton ciclista di indiscusso livello (gregario di Armstrong alla US Postal, campione Olimpico 2004 a crono (titolo revocato), ndr) insieme a Daniel Coyle, scaltro giornalista-scrittore.
Colpisce l’onestà intellettuale e la trasparenza con cui Hamilton sembra raccontare la sua esperienza, ripercorrendo la sua carriera dagli inizi, sino al tempo della US Postal (capitoli determinanti), proseguendo con il passaggio a CSC e Phonak, e finendo con la positività al doping e il tramonto.
Emergono la fatica e le rinunce per riuscire in un lavoro non semplice e non alla portata di tutti: la passione non basta bisogna saper andare oltre.
Gli argomenti sono forti: è una testimonianza concreta della vita del ciclista di alto livello di fine anni ’90 e anni 2000, caratterizzata dalla (inevitabile?) scelta del doping per rimanere nell’ambiente ed affermarsi. Cortisone e steroidi, EPO e trasfusioni. Un ambiente ipocrita in tutti i suoi attori: dirigenti, direttori sportivi, medici, giornalisti e ciclisti. Gli atleti (sicuramente anche spinti) accettano con coscienza la folle corsa per aumentare le prestazioni imbrogliando.
In quel ciclismo non vince il più talentuoso ma il più cinico, il più organizzato, chi riesce ad esagerare evitando la rete antidoping.
Hamilton punta il dito contro Lance Armstrong senza giustificarlo ma lo fa spesso con una parziale sorprendente comprensione, propria solamente di chi ha condiviso il vissuto e le esperienze.
E’ comunque severo e fa i nomi: Armstrong, Bruyneel, Rijs, Ferrari, Fuentes, Verbruggen, tutti protagonisti in negativo di un’epoca ciclistica falsa.
Sono le testimonianze di Hamilton (raccolta nel libro), Landis ed altri ex-compagni di squadra della US Postal (Andreu, Hincapie, ecc..) ad aver riscritto la storia del ciclismo, ad aver costretto Armstrong a confessare e ad aver contribuito alla revoca dei 7 Tour. Dal libro emerge chiara la colpa di Lance ma non è solo il doping: c’è la concussione, la corruzione, le connivenze con i più alti livelli del ciclismo (sue ben due positività insabbiate).
Interessanti i profili psicologici dei ciclisti tracciati nelle varie fasi del libro: frustrazione, incertezza, sentirsi comunque a posto con la propria coscienza, sentirsi forti, imbattibili come degli dèi, il negare a sé e agli altri l’evidenza dei fatti, la depressione, il tarlo della verità.
Importante la descrizione dei metodi di assunzione del doping, le strategie per evitare i controlli, gli imprevisti e gli effetti collaterali di cui anche Hamilton è stato vittima.
Stupisce anche la facilità con cui Hamilton scontata la squalifica per positività rientri in gruppo riprendendo a doparsi.
Insomma, la Verità è scomoda e fa male ma è giusto muoversi nella direzione corretta per portarla alla luce.
E’ assurdo ma dopo tutto “…è solo una corsa in bicicletta…”, o per lo meno dovrebbe esserlo…
Da leggere.